La Repubblica tutela con apposite norme le minoranze linguistiche.
Commento a cura dell’avvocato Angelo Greco.
Dovete immaginare la nostra Costituzione come un tempio e come tutti i templi, anche se sorretta da colonne, due per la precisione, quella della libertà e quella dell’uguaglianza. I temi della libertà e dell’uguaglianza pervadono tutte le norme della nostra Carta fondamentale colorandola di celeste e Di verde.
Delle libertà se ne occupano ben tre interi titoli. L’uguaglianza, invece, compare ovunque, bagna gli articoli, quasi come se fosse una pioggerella. I padri e le madri costituenti ancora lacerati dall’esperienza fascista, non fecero sfuggire occasione per ribadirla in ogni angolo. Sarebbe bastato da solo l’articolo tre, secondo cui siamo tutti uguali dinanzi alla legge. Ma non è andata così. Quando ci si innamora di qualcosa la si vede ovunque, come quando si ama una donna se ne riconosce il profumo, ovunque ci si trovi in un Prato, così come in una stanza affollata, si vede il suo volto tra le case di quartiere o quando si chiudono gli occhi. Si pensa alle sue parole nel frastuono del traffico, I padri costituenti erano innamorati dell’uguaglianza e la vedevano ovunque, un’ossessione, una bellissima ossessione e così abbiamo l’articolo 24 in base al quale tutti possono rivolgersi a un tribunale per far valere i propri diritti. Abbiamo l’articolo 51, secondo cui tutti i cittadini di qualunque sesso possono accedere agli uffici pubblici, alle cariche elettive in condizioni di uguaglianza. E abbiamo l’articolo 34, secondo cui la scuola è aperta a tutti, l’articolo 48, che ci ricorda che tutti possiamo votare uomini e donne di almeno diciott’anni, l’articolo 97, che sancisce l’obbligo di concorso per accedere agli impieghi nelle pubbliche amministrazioni. E ne potrei citare tanti, tanti altri, la parola tutti. È quella più usata all’interno della Costituzione. Fate una ricerca con un normale programma di testo e scoprirete che viene impiegata. 23 volte.
L’uguaglianza è anche il tema dell’articolo sei che tutela le minoranze linguistiche, cioè quei gruppi di popolazione che parlano una lingua diversa da quella ufficiale dello Stato, come gli utenti dei social Network, si tratta dell’articolo più breve, ma anche di quello più inclusivo, una sorta di sintesi tra l’articolo tre che sancisce il principio di uguaglianza e l’articolo due che garantisce i diritti dell’uomo in tutte le formazioni sociali, perché una comunità con caratteristiche etniche particolari, una propria cultura e una lingua diversa costituisce una formazione sociale. I padri costituenti potevano lasciare il divieto di discriminazione già implicito in queste norme, ma hanno voluto dargli uno spazio tutto suo proprio per sottolineare che l’Italia non fa distinzioni. Che non si limita solo a tollerare la diversità, ma la tutela, l’esatto contrario di ciò che facciamo noi oggi.
Non dobbiamo pensare che l’articolo sei si riferisca solo alle minoranze linguistiche, ossia a chi parla una lingua diversa
dall’italiano. La lingua è solo il mezzo esteriore che ci fa comprendere di avere davanti uno straniero. La tutela delle minoranze a cui fa riferimento l’articolo sei si spinge a qualsiasi espressione culturale differente da quella della Maggioranza,
è, insomma, un volere indirettamente garantire il pluralismo culturale in qualsiasi forma esso si esprima. Pensate al velo islamico che la nostra legge non vieta, benché copra il volto. Non si tratta infatti di una maschera il cui utilizzo, almeno in pubblico, è vietato dalle leggi in materia di pubblica sicurezza, ma di un costume legato a una tradizione culturale, perciò garantito dalla Repubblica. La questione della tutela delle minoranze è fondamentale nel pensiero di chi ha scritto la nostra Costituzione. Si voleva evitare qualsiasi discriminazione sulla razza e sulla cultura, diversamente da come aveva fatto il fascismo in difesa del nazionalismo e dell’identità italiana, il ventennio fu caratterizzato da una politica linguistica nazionalista, contraria ai forestierismi. Abbiamo coltivato il mito della purezza della lingua italiana sostituendo il lei con il voi italianizzando toilette e con toeletta, quadruplicando le tasse, sull’insegna in lingua straniera. Introducendo il divieto di dare ai bambini nomi stranieri o di usare lingue diverse da quella italiana nei processi civili e penali. Che presunzione. l’Italia non è che il frutto di un matrimonio, a volte non proprio idilliaco tra numerosi popoli, gli arabi, i francesi, gli svedesi, gli inglesi, i greci, i tedeschi, gli austriaci, gli spagnoli, solo per citare i principali. Si può dire che nella nostra storia abbiamo ospitato tutto il mondo. Quante sono le minoranze linguistiche in Italia? Molte più di quelle che si possono immaginare, non meno di 20, c’è quella aladina, quella slovena occitana, catalana, sarda, croata, albanese, greca, Franco provenzale e friulana. Insomma, siamo il risultato di una varietà di popoli che si sono fusi tra loro, a volte senza nemmeno accorgersene, altre volte, invece, in seguito a guerre e dominazioni. Potrà sembrare paradossale, ma la Costituzione da un lato tutela le minoranze linguistiche e dall’altro dimentica di dichiarare l’italiano come lingua ufficiale del paese, tant’è che dal 1988 l’Accademia della Crusca sta chiedendo di colmare la lacuna inserendo l’ufficialità della lingua italiana nella nostra Costituzione. Come hanno fatto la Francia, la Bulgaria, il Portogallo, l’Austria, la Finlandia, l’Irlanda e molti altri.
Non conosce la storia, chi crede che l’immigrazione sia un tema solo dei giorni nostri, l’Italia è sempre stata un rifugio. Non meravigliatevi. Una penisola in mezzo al mare e il luogo di attracco di quanti sfuggono a invasori, guerre e persecuzioni. Un porto lungo quanto tutto, uno Stato pensate, 8000 km di coste sono stati. Il crocevia di ogni cultura. Potevamo essere la Dubai del Mediterraneo. Eppure nessuno prima di queste ultime generazioni si è mai posto il problema che una differente civiltà potesse rubarci ciò che avevamo. Al contrario abbiamo condiviso la terra con chiunque venisse. Alcuni popoli sono rimasti in Italia formando delle vere e proprie comunità, mantenendo la propria identità, senza rinunciare alla lingua nativa, in nome di una disgregazione che forse li avrebbe visti in prima battuta, più integrati, ma di certo meno rispettosi delle loro tradizioni. Il loro soccorso è arrivato così l’articolo sei della Costituzione. Una prova di superiorità dei nostri padri costituenti che così facendo, hanno deciso di mettere tra i principi fondamentali del nostro Stato quello della tutela degli stranieri, delle etnie diverse, di coloro che si trovano in minoranza. L’articolo sei ha richiesto numerose leggi di attuazione, prime tra tutte quelle rivolte ad abrogare i vecchi limiti imposti dal fascismo. E qui si passa ancora una volta dal principio perfetto all’attuazione imperfetta degli uomini, perché ci sono, Le comunità di serie A che hanno ottenuto immediata tutela ed altre di. Serie B, che hanno dovuto attendere anni, altre sono ancora prive di tutela se si pensa ai rom. Subito furono approvati gli statuti speciali per le regioni della Sardegna, del Friuli Venezia Giulia, del Trentino-Alto Adige, della Valle d’Aosta. Le prime comunità straniere che beneficiarono di apposite leggi, furono quelle francofone della Val d’Aosta e quelle tedesche delle province autonome di Trento e Bolzano, ma solo nel 1999 fu emanata la legge numero 482 sulla tutela delle minoranze linguistiche. A queste comunità è stato riconosciuto il diritto di utilizzare la propria lingua anche in atti e funzioni ufficiali di organi pubblici, pure elettivi. Oggi l’ingresso in Italia di numerosi immigrati ha causato l’aumento di comunità parlanti lingue diverse dall’italiano. La sfida del futuro sarà garantire a queste le stesse tutele che ha già ricevuto chi prima di loro è approdato lungo le nostre belle coste.